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Quando da ragazzino andavo con mio padre a fare lunghe passeggiate sulle Madonie oppure su per i monti che cingono la Conca d'Oro (la piana ricca di agrumeti, attorno a Palermo, oggi quasi del tutto cementificata), ricevetti l'insegnamento che una buona regola del viandante (una regola valida per tutte le stagioni) era quella di rivolgere un saluto e un augurio di buon cammino a qualsiasi altro viandante s'incontrasse o si raggiungesse lungo il sentiero. Quest'insegnamento m'è rimasto impresso, perchè sottolineava l'importanza di essere "affabili" con gli sconosciuti e si fondava sulla regola che il saluto non andava riservato esclusivamente a personaggi conosciuti. In più, il principio del saluto risultava una regola d'uso dei luoghi che ci si trova ad attraversare, come a dire: "Nessuno la può fare da padrone. Siamo tutti dei passeggeri e dobbiamo essere gentili l'uno nei confronti dell'altro".Mio padre mi spiegò anche che la "regola del saluto" aveva un valore prezioso nei confronti di chi esercitava dei "diritti" su quei luoghi perchè era o pastore o contadino o padrone della terra. Quindi, da viandante, il saluto valeva anche come una forma di pedaggio "di cortesia" da corrispondere all'altro. In questi casi, al saluto, poteva anche far seguito una breve conversazione. Una volta, un pastore - che incontrammo su d’una pietraia brulla mentre ascendevamo sul per il fianco di una delle cime più alte delle Madonie - ci disse abbracciando con lo sguardo il panorama vasto e silenzioso che si apriva davanti a noi: "E' ccà ca niscivi" [Sono uscito qui]. Per questo motivo, proprio perchè ci s'incontra con persone che, per nascita, appartengono a quei luoghi, nel "salutare" non doveva esserci alcuna arroganza, quell'arroganza un po' proterva che s’esprime nell'attendere alteri che sia prima l'altro a salutare e, non dovesse salutare, nel non salutare nemmeno noi. Quando ciò accade, mentre ciascuno dei due viandanti prosegue per la sua strada, il momento dell'incontro sfuma e passa, qualcosa della umanità di ciascuno e dell’unicità di quell’incontro s'è perso per sempre.A questa regola nel corso della mia vita mi sono sempre ispirato, ottenendo sempre un contraccambio in parole o con un gesto. Anche nella mia pratica podistica, ho sempre cercato di applicare questa regola. Sia nei confronti di coloro con i quali mi trovo a condividere l’uso degli spazi urbani alle prime luci dell’alba, sia nei confronti di altri che – come – corrono. È così che mi ritrovo a salutare l’edicolante, l’extra-comunitario che ha tenuto aperta per tutta la notte la rivendita di fiori e piante, perfino Ninetta, la homeless che arriva prestissimo –chi sa da dove – ad occupare la sua postazione e a gettare innocui improperi a chi passa. Ogni volta che incontro un podista intento nel suo allenamento (un mio simile, uno con il quale – in teoria – condivido la stessa passione) ho sempre salutato. "Ciao!!!", "Buongiorno!!!" a seconda dei casi: un saluto non costa niente e può far piacere salutare un proprio simile anche se le strade di ciascuno seguono traiettorie opposte. Purtroppo, devo dire che i podisti metropolitani - ancora non ho trovato eccezioni a simile comportamento – a differenza del fiorista, dell’edicolante o dello spazzino, ignorano la regola di cortesia che mi è stata trasmessa. Invariabilmente, proseguono nella loro corsa, lo sguardo fisso nel vuoto, ingrugniti nello sforzo. Alcuni pensano che la pratica sportiva dovrebbe ingentilire gli animi, nobilitare, arricchire interiormente gli individui che vi si dedicano. L'ignorare il saluto di un proprio simile ( di più: di un proprio pari, di uno che fa parte della stessa "comunità" specializzata) sembra contraddire un tale assunto. Forse, bisognerebbe ri-apprendere alcune regole elementari della cortesia, per dare un senso diverso alla propria dedizione allo sport: che attualmente, così come viene praticato sembra orientato verso forme di appartenenza "gruppale" esasperata, in cui il riconoscimento dell'altro può avvenire soltanto se l'altro è visto come "simile", "pari", in definitiva appartenente alla stessa tribù. Per lo stesso motivo, se ad un gruppetto di podisti appartenenti alla stessa "conventicola" vuole aggregarsi uno "sconosciuto", il tacito accordo (subito messo in atto dal gruppo) è "Stronchiamolo!!!!" e tutti cominciano a correre come forsennati. Forse il rito del saluto (che, così concepito, lungi dall'essere vuota ritualità è anche scambio, relazione, riconoscimento del valore dell'esistenza dell'altro) s'è perso, con il concomitante smarrimento dell'affabilità, della cortesia, gentilezza, disponibilità che un tempo contraddistingueva la vita negli spazi urbani e non solo. Forse sempre più ci stiamo abituando a vivere chiusi dentro un duro guscio di solitudine che porta ciascuno ad ignorare l'Altro da sé, a non vederlo, a non sentirlo.Tutto questo è indubbiamente molto triste e bisognerebbe porre rimedio, prima che i guasti dell'isolamento e della solitudine diventino irreparabili. Cominciamo, dunque, a fare il semplice esercizio di rivolgere una parola di saluto, di augurio, un semplice commento a tutti i podisti che incontriamo durante il nostro allenamento. Fare ciò non costa nulla e, alla fine, qualcosa raccoglieremo, anche se inizialmente il nostro salutare verrà accolto con un muro d’indifferenza. Cerchiamo dunque di essere sempre "affabili" e "conviviali" nel nostro approccio alla corsa. Se non accompagnata da simili qualità e da una bella dose di calore umano, la corsa - come ogni altro sport - non è davvero nulla".

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